Tra i frutti più longevi in assoluto nella storia del pianeta, il fico è stato ritrovato in alcuni tra i siti archeologici più antichi dell’umanità, oltre ad essere ricordato in diverse fonti classiche per le sue proprietà e, addirittura, per la lavorazione in “crocette”, del tutto simile a quella tuttora in uso nella tradizione mediterranea e calabrese.
Le prime civiltà agricole in Mesopotamia, Palestina ed Egitto coltivavano il fico, favorendone poi la diffusione in tutto il Bacino del Mediterraneo.
Risale a qualche anno fa un’importante scoperta dei ricercatori dell’Università di Harvard che dimostra come il fico fosse coltivato molto prima di quanto si pensasse, circa mille anni prima dell’orzo e del grano. La straordinaria scoperta è avvenuta in Israele, sul sito archeologico di Gilgal, un villaggio abitato all’incirca 11400 anni. Le hanno riscontrato la presenza di acheni (semi del fico) e piccole parti del fico oramai completamente carbonizzate.
Alla luce di questa scoperta si potrebbe dunque porre l’origine del fico in Medio Oriente, anche se, per altre fonti, il fico sembrerebbe originario dell’Asia Occidentale.
Nel mondo greco il fico è un alimento diffuso e popolare. Essiccato, si poteva consumare in qualsiasi periodo dell’anno, accompagnato al pane d’orzo e al formaggio di capra, che spesso costituivano un pranzo completo.
Pausania, scrittore e geografo, narra del fico sacro di Eleusi, protetto da un portico. Anche filosofi e pensatori abbondano nei loro scritti di riferimenti costanti al fico e ai suoi frutti.
La stessa lavorazione dei fichi sembra risalire ad epoche remote. Le “crocette di fichi secchi”, ad esempio, sono note fin dall’antichità, tanto che gli autori classici le descrivono ampiamente in diverse opere e citazioni, dalle Satire di Orazio ai trattati naturalistici di Columella.
Nei miti latini il fico assume caratteri complessi e ambigui: sembra essere sacro a Bacco, dio della linfa e dell’energia vitale; ma il frutto, gonfio di polpa succosa, era anche rivendicato da Priapo, protettore dei giardini.
Il fico era inoltre collegato al capro: sia a Roma che in Grecia, infatti, il fico selvatico (rispettivamente caprificus e tragos) aveva lo stesso nome dell’animale sacro.
“Ricordate, uomini, la vita di un tempo che la dea ci dispensava, quelle trecce di fichi secchi e i fichi freschi e i mirti e il vino dolce e le aiuole di viole vicino al pozzo e le olive che tanto rimpiangiamo!”.
(Aristofane, La Pace, 569-579)